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Arrow – 2×01 – City of Heroes

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Arrow ha chiuso la sua prima stagione con un ottimo finale, che ha avuto il coraggio di portare la minaccia principale alle sue estreme e devastanti conseguenze. Il piano di Malcolm Merlyn di distruggere Glades ha avuto successo, cosa che ha sconvolto gli equilibri di tutta la città e decretato il fallimento del protagonista come eroe. Come se non bastasse, la tragica fine di Tommy, oltre a eliminare uno dei “buoni” principali, rappresenta il fallimento di Oliver anche come amico. Non si può pretendere da questa premiere altrettanta potenza. Il suo compito è quello di preparare il terreno della stagione, facendoci pregustare qualche novità e mantenendosi al tempo stesso coerente con il passato.

Proprio perché in Sacrifice gli sconvolgimenti sono stati notevoli, da questa prima puntata mi aspetto una cosa che pretendo da qualunque opera narrativa, anche quando leggera e all’insegna del disimpegno come Arrow:  che i grossi eventi a cui abbiamo assistito non vengano cancellati con un colpo di spugna o trattati come se non fossero importanti. “City of Heroes” deve insomma mostrare che ciò che è accaduto ha avuto ripercussioni consistenti sulla trama in generale e sulle vite individuali dei personaggi. Ci riesce? Direi di sì, lasciando però qualche preoccupazione.

I protagonisti si mostrano turbati a sufficienza dai recenti disastri, senza che la puntata venga appesantita da un eccessivo sfoggio del dolore e dei dilemmi interiori che non appartiene allo spirito dello show. Oliver sente di non essere all’altezza del proprio compito di protettore della città e quindi: 1) Parte, tornando sull’isola su cui era rimasto intrappolato per anni; 2) Viene prevedibilmente convinto da Felicity e Diggle a tornare, scelta necessaria dal punto di vista narrativo ma anche da quello umano, visto che This isn’t about you being the Vigilante, this is about your being Oliver Queen. Sua madre Moira (arrestata per aver collaborato alla distruzione di Glades) ha bisogno di averlo vicino e anche la Queen Consolidated  (in procinto di fallire dopo i casini in cui è stata coinvolta la famiglia) deve essere salvata. Pure la reazione di Thea viene gestita in maniera più che accettabile, in linea con il senso etico e la ribellione adolescenziale del personaggio. La ragazza rimane sconcertata dalla scoperta di avere una madre complice di una strage e grazie al cielo, almeno per un po’ di tempo, è riluttante a perdonarla. Come prevedibile, ne segue una riconciliazione, ma anch’essa presentata in modo sufficientemente credibile. Ci si arriva solo in seguito a una situazione di disperazione e pericolo, che permette a Thea di mettersi nei panni della madre e capirla. Al contrario, Laurel si riconferma il personaggio peggio riuscito e sembra rappresentare la parte più problematica della serie. I suoi tira e molla con Oliver penso che abbiano stufato chiunque, ma nel caso specifico la scelta di sospendere la relazione è più giustificata che in altri. Molto meno sensata è la decisione di mettersi contro l’arciere dopo averlo a lungo aiutato, con una motivazione (la presunta colpevolezza del vigilante nella faccenda di Tommy. Colpevolezza attiva, non la semplice impotenza percepita da Oliver stesso) abbastanza assurda, specialmente se ricordiamo che in realtà Tommy è morto per salvare lei.

Il tutto viene tratteggiato attraverso dialoghi ben scritti, ambito in cui Arrow se l’è sempre cavata. Suonano naturali sia nei momenti drammatici sia quando puntano su simpatia e umorismo. Non c’è quell’invadente pretesa di inserire a tutti i costi la battuta sagace ogni due secondi (come capita invece in Agents of S.H.I.E.L.D). Ma il pregio principale di Arrow è un ritmo pressoché perfetto, e con questo non intendo dire veloce, ma veloce al punto giusto.  Gli eventi hanno il tempo di respirare, e le immancabili scene d’azione (in questa puntata ce ne sono ben quattro. Anzi cinque, se si conta anche l’iniziale avventura di Diggle e Felicity in aereo) si alternano nei punti giusti a momenti più tranquilli e sentimentali, senza che che la puntata appaia esagerata in un senso o nell’altro.

Passiamo però a una questione più controversa: l’addolcimento di Oliver, o meglio di Green Arrow (visto che il protagonista finalmente decide di dare alla sua identità di supereroe il nome del fumetto a cui la serie si ispira). E’ una svolta che posso comprendere: se da un lato Oliver non può restare a lungo lontano da arco e frecce (pena la noia per tutti noi), dall’altro è giusto mostrare che la catastrofe lo ha segnato in modo profondo.  La volontà di non disonorare la memoria di Tommy, che disprezzava i suoi omicidi, è una motivazione che funziona. Spiega in modo convincente la trasformazione, la scelta cioè di agire con più misericordia verso i nemici, che ora vengono resi inoffensivi e consegnati alla polizia. Eppure era proprio quel “lato oscuro” del protagonista, quella sua piccola dose di spietatezza, una delle ragioni principali per cui ho seguito volentieri la scorsa stagione. Ricordo benissimo ad esempio la scena iniziale di Honor Thy Father, in cui Oliver chiedeva al malcapitato di turno di restituire i soldi ai pensionati, minacciando di maciullargli la testa tra le pale rotanti. Erano cose che mi divertivano, ecco. Si trattava di un divertimento superficiale, ma per una serie simile era un punto di forza. Verrà ridata al protagonista la sua vecchia ambiguità morale? In caso contrario, Arrow continuerà a intrattenere come prima? E’ tutto da scoprire, ma per il momento non posso dire che la direzione intrapresa mi ispiri.

Che altro rimane da commentare? Gli antagonisti della settimana sono un gruppo di giustizieri anch’essi incappucciati, desiderosi di imitare il nostro eroe, ma più estremi e brutali nei metodi. Sono chiaramente usa e getta, privi di particolare attrattiva, ma almeno servono a svariati scopi, tra cui la giustificazione del già citato cambiamento di Thea (rapita dai tizi in questione per vendetta contro la famiglia Queen) e della scelta del nome Green Arrow (essendo “The Hood” ormai macchiato dal loro operato). La loro presenza è inoltre un espediente per parlarci di Glades, ora dominato dal rancore e dal caos. Tutt’altro discorso va fatto per Isabel Rochev: interpretata da Summer Glau e manager della Steelmore International (l’azienda antagonista della Queen Consolidated), sembra destinata a durare a lungo e forse a fare da base alla nuova trama orizzontale. Già prima dell’incontro con lei Felicity si premura di presentarla con un She looks angry in every photo, descrizione esilarante nel suo infantilismo (uno dei tanti esempi dell’umorismo semplice e senza pretese di cui parlavo). E in effetti, quando questa donna-in-carriera-senza-scrupoli appare in carne ed ossa, Summer Glau riesce a conferirle un’interessante aria da principessa di ghiaccio, portata a livelli così estremi da rendere il personaggio paradossalmente simpatico. Non che ci voglia molto, ma in una sola puntata Oliver dimostra più alchimia con lei che con Laurel in tutta la prima stagione.

 

Ok.

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